Editorial

Italia-Ticino, nubi all’orizzonte

Un nuovo accordo fiscale fra la Svizzera e l’Italia parafato nel 2015 ma che Roma non ha ancora firmato e rinnovate pretese da parte del fisco italiano verso le banche svizzere alimentano le tensioni fra il Ticino e l’Italia, con il rischio di una nuova crisi fra la Svizzera e il suo vicino a sud delle Alpi.

Mentre in tutta la Svizzera si dibatte soprattutto sull’accordo istituzionale negoziato fra Berna e Bruxelles, il Ticino deve affrontare nuovi conflitti con l’euroscettico governo italiano. I nodi sono due: uno si trascina da anni, l’altro è sorto negli ultimi mesi: il primo è l’accordo fiscale tra Svizzera e Italia e riguarda i lavoratori frontalieri italiani in Ticino, parafato il 22 dicembre del 2015 ma mai firmato dal governo italiano, il secondo è un nuovo attacco delle autorità fiscali italiane contro le banche estere, in particolare quelle in Ticino, che secondo Roma dovrebbero versare al fisco italiano una parte dei guadagni fatti con i clienti italiani in passato (come pure in futuro).

Il nuovo accordo fiscale con l’Italia è frutto di una rivendicazione del Ticino: in base all’accordo del 1974, il Ticino deve riversare all’Italia il 38,8% delle imposte trattenute alla fonte ai lavoratori frontalieri italiani (fino al 1985 era il 40%). Una somma ritenuta eccessiva, considerato che dall’entrata in vigore della Libera circolazione nel 2006 all’Austria viene restituito solo il 12,5% delle imposte alla fonte. In base al nuovo accordo, il Ticino dovrebbe stornare solo il 30% delle imposte alla fonte, ma il problema è che nessuno dei governi italiani succedutisi in questi oltre tre anni ha voluto firmarlo, non ritenendolo una priorità. Nemmeno l’incontro del 14 gennaio a Lugano fra il consigliere federale Ignazio Cassis e il ministro degli esteri italiano Enzo Moavero Milanesi ha sortito qualcosa di più della solita dichiarazione (Cassis: «Ho potuto confermare la volontà del Governo italiano di arrivare ad una posizione chiara in tempi rapidi…, con ritmo stagionale nella primavera entrante»).

Per il Canton Ticino questo ritardo significa una perdita di svariati milioni di franchi ogni anno, ciò che accresce l’insofferenza verso le autorità italiane, non solo da parte della Lega dei Ticinesi e dell’Unione Democratica di Centro. Le voci che chiedono un blocco dei ristorni fiscali all’Italia si fanno insistenti, ma per ora il Governo ticinese non vuole dare seguito a questa richiesta, perché l’accordo fiscale è un trattato internazionale e qualsiasi misura unilaterale del Ticino metterebbe in imbarazzo anche il Consiglio federale. Una posizione ben diversa da quella che il Governo ticinese assunse il 30 giugno 2011, quando decise di bloccare la metà dei ristorni fiscali per spingere l’Italia a rivedere l’accordo fiscale del 1974, fino al maggio del 2012, quando Roma in effetti accettò di intavolare discussioni con Berna per risolvere questo e altri contenziosi.

Tuttavia, lo scontento in Ticino resta grande e una soluzione va trovata. In questo senso, i consiglieri nazionali del PLR Giovanni Merlini e Rocco Cattaneo, unitamente al Consigliere agli Stati Fabio Abate (PLR) presenteranno un atto parlamentare per chiedere che la Confederazione compensi le perdite derivate dalla mancata entrata in vigore dell’accordo, per esempio nel quadro della revisione della perequazione finanziaria della Confederazione. L’idea di una compensazione per il Ticino era stata avanzata dal consigliere federale Ueli Maurer in un incontro con la deputazione ticinese alle Camere federali nel 2017. Lo stesso Ueli Maurer ha però assunto una posizione diametralmente opposta nella risposta scritta ad un’analoga mozione inoltrata nel 2015 dal consigliere nazionale UDC Marco Chiesa: non ci sono le basi legali per una simile compensazione, «la Confederazione non può intervenire per compensare le manchevolezze degli Stati vicini». Il Consiglio nazionale ha quindi bocciato la mozione Chiesa il 13 marzo con 130 voti contro 48 e 13 astensioni. A questo punto, va trovata una soluzione di nuovo tipo, se si vuole evitare che fra Italia e Svizzera sorga una nuova crisi internazionale a causa del Ticino.

Banche di nuovo in pericolo
La seconda fonte di conflitto ha colto tutti di sorpresa: a metà dicembre alcune banche con sede in Ticino hanno ricevuto una lettera dall’Agenzia delle entrate italiano (il fisco italiano) con cui si chiede loro di fornire tutta una serie di dati dei loro clienti italiani, riguardanti il periodo 2013-2017, per potere tassare gli istituti. Il ragionamento del fisco italiano è il seguente: le banche operanti in Svizzera (in particolare in Ticino) hanno portato avanti attività finanziarie che in base alla legislazione italiana sono soggette a tassazione, quindi devono pagare imposte; nella peggiore delle ipotesi, dovranno anche pagare multe per aver aiutato i clienti italiani a frodare il fisco. Le banche, ma anche la Confederazione, stanno valutando la situazione dal punto di vista legale; come dichiarato dal presidente dell’Associazione bancaria ticinese Alberto Petruzzella, «la Convenzione sulla doppia imposizione fiscale tra Svizzera e Italia non stabilisce regole precise nella definizione di territorialità fiscale» (Corriere del Ticino, 18.2.2019). E non è un problema che riguarda pochi istituti: la procura di Milano ha fatto sapere di avere una lista di 250 banche estere in cui cittadini italiani hanno depositato capitali. Un problema aggiuntivo, fatto notare dal professore di diritto Paolo Bernasconi (CdT 18.2.2019), è che in seguito alla voluntary disclosure il fisco italiano dispone già dei dati dei clienti italiani delle banche svizzere, per cui ogni falsa dichiarazione da parte di istituti elvetici «potrebbe essere utilizzata come indizio ritenuto tale da giustificare ulteriori provvedimenti, (…) se non persino la promozione di un procedimento penale». Che la magistratura italiana non vada per il sottile lo dimostra il recente caso della PKB Privatbank di Lugano: dopo che la voluntary disclosure aveva portato all’emersione di 409 milioni di euro di 198 clienti italiani, la procura di Milano ha aperto indagini per riciclaggio e frode fiscale contro 18 manager della banca, nel novembre del 2018.

Questo fronte rappresenta un’ulteriore ipoteca sulle relazioni fra Svizzera e Italia, e quindi indirettamente anche sulle relazioni con l’Unione Europea? Lo si capirà nei prossimi mesi, ma senza dubbio non è un problema che può essere rimosso, come si faceva in passato con gli attacchi al segreto bancario svizzero. In conclusione: se già le relazioni con l’Unione Europea non sono facili, ancora più complicate si dimostrano quelle con un governo euro-scettico di un Paese membro dell’Unione Europea.

#Finanzen #Schweiz-EU

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